Tandalò: un paese fantasma silenzioso e lontano da tutto

Diga di BunnariVAI ALLA GALLERY
Tandalò
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Il cuore del Monteacuto sulle mappe è uno spazio bianco: nessuna strada asfaltata, nessun insediamento, nessun monumento da segnalare, nemmeno fiumi o montagne di rilievo.

Eppure, prima che il tempo diroccasse le diciannove case in granito, che le strade fossero interrotte dai guadi, quando ancora gli abitanti vivevano di carbone e allevamento, Tandalò era un villaggio come tanti, con la sua chiesetta di San Giuseppe, la scuola elementare, la piazza con un che di primitivo e ancestrale dato dai due lecci centenari a proteggerla. Un villaggio di cento, centoventi persone che definire remoto è un eufemismo, con decine di chilometri di strada bianca per arrivare ai centri più vicini di Oschiri e Buddusò.

C’è un destino storico comune a tanti villaggi: una volta spogliate le case, l’unico edificio superstite diventa una chiesa campestre. Ma quando questa viene sconsacrata, è il certificato di morte: solo gli archeologi potranno ricostruirne la storia. Tandalò invece sta lottando per non esistere solo nella memoria.

Nato probabilmente sul finire del XIX secolo, era una delle tante frazioni che costellavano l’impervio territorio di Buddusò. E proprio qui, a causa del suo isolamento, gli abitanti di Tandalò non godevano di buona fama: “pastori rozzi e incolti”, si mormorava. Eppure, quasi a simbolico sprezzo di queste dicerie, sulla sua sommità il villaggio è ancora oggi dominato proprio dalla vecchia scuola, un semplice ma austero edificio a due stanze.

“Pietraie che non ci si arriva in carro, si campava con uova, pane e farro”, canta una poesia popolare, che rende l’idea di come Tandalò fosse un luogo quasi fuori dal tempo, almeno fino agli anni ’50. Prima spopolato, poi disabitato in seguito al mutare dell’economia e alle faide fra i pochi residenti dal 1974, ora quasi abbandonato: una frazione con zero abitanti da mezzo secolo.

I tandalesi se ne saranno anche andati, ma non l’hanno ancora dimenticata: la chiesa costruita nel 1930-31 curata e dignitosa col suo altare esterno, tavoli e locali per le feste ben tenuti, delle casette restaurate lentamente sempre in granito e ginepro, qualcuna con persino le tendine alla finestre e con la caratteristica mensola in pietra per la lucerna. Persino delle creazioni artistiche in legno, pietra e metallo, che solo alcune vacche al pascolo possono ammirare.

Nella parte alta del villaggio, sulla collina, tutto è invece rimasto come cinquant’anni fa: piccole e povere casupole col tetto ormai crollato, letti arrugginiti, camini e oggetti di uso quotidiano prigionieri dell’immancabile coltre di rovi.

Incastonato in una silenziosa valle tra foreste e granito, cinto dal rio Mannu, Tandalò non lascia indifferenti.

Solo due strutture metalliche lo sovrastano e fanno capolino: da un lato l’onnipresente croce, dall’altro una pala eolica. Il villaggio a 573 metri di quota sopravvive al succedersi delle stagioni, lascia che la natura riprenda il suo corso sgravata da boscaioli e pastori, e ogni anno la seconda domenica di giugno riprende vita, restando nel resto dell’anno un vero e proprio paradiso perduto.

Dove si trova: lontano, da qualche parte nel comune di Buddusò. Google Maps

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