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Un villaggio minerario che sparisce lentamente sotto i detriti del tempo

Villaggio di Monte Narba, San Vito
Villaggio di Monte Narba, San Vito

Capita a volte di osservare le formiche impegnate nella costruzione di un formicaio e sorridere al pensiero di tutto l’affanno per cui faticano sotto il sole sapendo che quella mirabile opera di ingegneria verrà spazzata dal prossimo acquazzone. Ma è inutile sorridere: è probabile che gli dei pensino la stessa cosa delle nostre industrie.

Salendo sulla collina che domina il villaggio della miniera abbandonata di Monte Narba si ha l’impressione di osservare un formicaio abbandonato. I resti delle officine, la laveria e l’imponente palazzo della direzione, dall’alto appaiono piccoli e indifesi: i primi piani sono ormai coperti dalla valanga di detriti che col tempo sta inghiottendo il villaggio. Eppure qui un tempo era attiva una grossa miniera. Circa 900 operai lavoravano su chilometri di gallerie: quattordici diversi livelli che andavano fino a 500 metri di profondità.

Già conosciuto nel Settecento, a partire dalla metà dell’Ottocento quello di Monte Narba divenne uno dei principali giacimenti di piombo e argento d’Italia. Il villaggio venne costruito nel 1864, quando la miniera fu concessa alla Società Lanusei. Era una vera e propria piccola cittadina: c’era il telefono, l’energia elettrica, le case per gli impiegati e i dirigenti, un ospedale, la falegnameria e l’officina meccanica. Gli edifici hanno subito molto crolli e questo rende difficile l’esplorazione degli interni, soprattutto per quanto riguarda Villa Madama, il bellissimo palazzo alto tre piani dov’era ospitato il direttore.

Villa Madama
Villa Madama

Ma nell’edificio che ospitava l’ufficio amministrativo è ancora possibile ammirare le pareti e i soffitti affrescati, opera di un maggiore austriaco. Gli affreschi risalgono al 1916 quando, durante la Prima Guerra Mondiale, qui venne ospitato un contingente di prigionieri austriaci. E il maggiore, per vincere la noia, diede libero sfogo alla sua arte abbellendo questi palazzi. Vederli oggi, a quasi un secolo di distanza, è particolarmente impressionante, soprattutto per il contesto di totale abbandono e decadenza. Nonostante decenni di esposizione alle intemperie, conservano ancora colori vividi e si potrebbe dire che siano appena stati fatti.

A fine Ottocento, a causa dell’impoverimento dei filoni e della concorrenza di altre miniere argentifere, la miniera entrò in crisi. Alcuni cantieri furono chiusi ma si continuò con la ricerca nella speranza di scoprire altri filoni. In seguito la miniera passerà di società in società, ma probabilmente la sua fine era già arrivata prima che il nuovo secolo avesse inizio. Nel 1935 venne revocata la concessione. Da lì, l’abbandono definitivo. Nel villaggio si impiantò un’azienda agricola e forse l’ultima testimonianza di quel periodo è un trattore completamente arrugginito e in parte coperto dai detriti che si trova in quella che un tempo era l’officina della miniera.

L’incerto tempo primaverile non dà il tempo di esplorare la zona intorno al villaggio. Un acquazzone porta via la polvere dei ruderi. Fosse un formicaio, il giorno dopo non ce ne sarebbe traccia. Ma in questo caso l’acqua non basta: altra polvere si depositerà.

Dove si trova: a pochi chilometri San Vito, nel Sarrabus. Appena usciti dal paese, in direzione Muravera, svoltare a destra subito dopo il ponte (la svolta è indicata da un cartello). Dopo qualche chilometro svoltare a sinistra nella stradina bianca che porta velocemente al villaggio (attenzione perché la seconda svolta non è segnalata). Si sconsiglia di avventurarsi all’interno degli edifici dato che non sono stati messi in sicurezza e ci sono crolli frequenti. Google Maps

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