Brano tratto da “Works” (2016) di Vitaliano Trevisan:
Resta la fabbrica, abbandonata ormai da una decina d’anni. Resta la “proprietà”, quella multinazionale che preme per un cambio di destinazione d’uso, da industriale a direzionale, commerciale e residenziale, cosa che chiuderebbe definitivamente la questione nel migliore dei modi possibili – migliore per loro s’intende, che anziché trovarsi, come ogni anno, a dover iscrivere a bilancio una perdita, cioè le tasse che continua a pagare su uno stabilimento da tempo dismesso, potrebbe infine venderlo come terreno edificabile, realizzando l’ennesimo profitto. Sembra che l’amministrazione stia decidendo in questo senso. Del resto, dicono, che altro fare di una struttura così grande? Non tutte le fabbriche dismesse possono diventare centri culturali, su questo siamo d’accordo. Ma non per questo, mi dico, mentre sono ormai giunto alla fine della mia passeggiata notturna, devono per forza diventare dei centri commerciali e direzionali e residenziali.
Però però, la congiuntura, la crisi, il fatto che ci siano già più case di quante ne servano, e anche più capannoni e centri commerciali di quanti ne servano, ammesso che servano, ebbene, tutto questo ci fa ben sperare. La fabbrica potrebbe restare così, abbandonata, ancora per anni. Perché diventi una piccola foresta ne basterebbero una trentina.
Dunque la mia proposta politica, che enuncio qui e ora, nel cuore della notte, è: Non fare assolutamente nulla. Lasciare la proprietà della fabbrica alla multinazionale. Della proprietà privata, che com’è noto è sacra, ce ne fottiamo; anzi, che resti privata ci fa giuoco: garantisce al sito l’isolamento necessario, permettendogli di evolversi seguendo i ritmi della natura, in linea con quel concetto espresso dal noto scrittore di montagna, in canottiera e bandana, nel suo recente incontro con la cittadinanza, cioè con voi, concetto col quale, a giudicare dagli applausi, eravate tutti d’accordo, ovvero che bisogna tornare ai ritmi della natura. Inoltre, la multinazionale continuerebbe a pagare le tasse di proprietà, com’è giusto, visto che ne ha la proprietà. Perciò, anche pensando ai nostri figli, o meglio ai vostri, dato che chi scrive, grazie a dio, non si è riprodotto, proponiamo per l’area dell’ex fabbrica un Progetto di Abbandono, finalizzato alla sua ri-forestazione spontanea. Pochi decenni e, comunque vada, la nostra parte di periferia diffusa potrà contare su un cosiddetto polmone verde e, al tempo stesso, i suoi abitranti, ovvero noi stessi, potremmo visitare le rovine della fabbrica e riflettere così sulla nostra propria storia, sul concetto di lavoro da cui tutto ha avuto inizio, sulla nostra identità e tutte le altre cazzate politico-culturali che dovrei dire per chiudere bene il discorso.
(Pausa).
L’idea della foresta mi ha tranquillizzato. È ora di tornare a casa. Un ultimo sguardo. Sul muro di cinta della fabbrica abbandonata, spray bianco su fondo grigio, due scritte:
6 STUPENDA T.AMO – 6 UN TESORO T. VOGLIO
Dunque, mi dico, c’è ancora qualcuno che si aggira furtivo nella notte! Certo, non sono più le scritte di una volta, ma il caso, il caso lavora sempre benissimo.
Fin!