Era una nave da guerra tedesca. Oggi è un covo per i pesci e una meta per i sub. Appoggiato sul fondale in posizione di navigazione, il KT12 non è mai arrivato a destinazione. Ma questo relitto nasconde tante storie.

A poca distanza dalla costa di Orosei, a circa 34 metri di profondità, si trova il relitto del KT12, una nave da guerra tedesca affondata durante la Seconda guerra mondiale. A colpire subito, oltre al fatto che si trova adagiato sul fondale come se stesse navigando, è il cannone puntato verso l’alto, come se volesse ancora difendersi da un potenziale pericolo aereo. Ma per il KT12, partito da Livorno con direzione il Nordafrica e mai giunto a destinazione, il pericolo arrivò dal basso.

Il cannone di poppa del KT12 – foto di Egidio Trainito

Era il 10 giugno del 1943 quando questa nave tedesca che trasportava 30 uomini e molto carburante venne colpita da un sommergibile britannico, il temibile Safari, responsabile anche di molti altri affondamenti.

La nave si spezzò in due: la prua, colpita dal siluro, andò a fondo subito, mentre il resto dell’imbarcazione sparì sott’acqua circa 40 minuti dopo. Il carburante che trasportava prese fuoco e si sparse sulla superficie, trasformando il mare in una trappola infernale. Alcuni uomini morirono subito, altri invece arrivarono a riva, soccorsi dagli abitanti di Orosei, con ustioni gravi e la pelle a brandelli. Per molti giorni il mare continuò a restituire cadaveri. Ma ci fu anche chi riuscì a sopravvivere senza un graffio: ne parleremo tra poco.

Oggi fare un’immersione in quelle acque vuol dire andare sotto la superficie del presente, immergersi nella Storia e nelle tante storie che questo relitto racconta nel suo immobile silenzio.

Nascosto sotto 34 metri d’acqua, tra pesci e alghe, lontano dai rumori del presente, il relitto del KT12 ci ricorda una guerra terribile che colpì l’Europa e il Mediterraneo provocando la morte di milioni di persone, e che coinvolse anche la Sardegna.

Cabine del KT12 di Orosei – foto di Egidio Trainito

Parliamo del KT12 con Egidio Trainito, esperto di ambiente marino e autore di guide sui relitti. È stato lui, con la redazione di un giornale con cui collaborava, a scoprire la storia del relitto e a trovare un superstite che all’epoca dell’attacco aveva solo 21 anni.

Quando ha visto il KT12 per la prima volta?

Credo che fossero i primi anni ’90. Il relitto era noto, però non si conosceva bene la posizione e non si sapeva con precisione cosa fosse. C’erano Sergio Pisano, Cinzia Calamita e Maurizio Uras, che anche loro cercavano il relitto. Ma cercando la nave trovammo la prua, che fino a quel momento non era conosciuta. A quel punto avevamo le varie parti: il corpo principale con la poppa, la prua e tutta una scia di detriti caduti dalla nave mentre affondava. Poi la cosa si è evoluta perché il relitto è diventato noto, abbiamo pubblicato vari articoli e con la redazione di Acqua scoprimmo che si trattava del KT12, una nave militare tedesca partita da Livorno, dov’era stata costruita. Da lì in poi siamo riusciti a ricostruire la sua storia con precisione. Una storia fino a quel momento sconosciuta. La gente di Orosei la chiamava “la petroliera”.

Come mai questo nome?

È una storia curiosa. Dopo l’attacco ovviamente a riva c’è stata molta confusione. Quando la nave è stata colpita dal sommergibile Safari, dei tre siluri sparati due sono arrivati in riva ancora non esplosi. I ragazzini ci saltavano sopra, ci giocavano, finché qualche mese dopo i due siluri sono stati fatti brillare. L’affondamento è durato circa 40 minuti, a bordo e tutto intorno si sviluppò un incendio furioso, perché la nave trasportava fusti di carburante. Alcuni fusti si sono incendiati, altri risalivano in superficie e galleggiavano. Quindi la gente ha iniziato a recuperarli per prendere il carburante che usavano per far andare qualsiasi cosa. Consideriamo che era il 1943, carburante non ce n’era, quindi questa era una manna per la gente. Per questo motivo la chiamavano la petroliera. Era una diventata una risorsa. E in un certo senso lo è tuttora: ci vanno centinaia di persone ogni anno a fare le immersioni.

Prua del KT12 – foto di Egidio Trainito

È il relitto più bello del Mediterraneo?

Nel Mediterraneo ci sono migliaia di relitti, dire che è il più bello è un po’ una forzatura. Sicuramente è il più fruibile, il più piacevole da esplorare. Poi ce ne sono anche altri molto belli, solo che sono più in profondità. Il KT12 ha delle caratteristiche che lo rendono ideale da esplorare e fotografare: intanto è a una quota praticamente ideale per un relitto, perché è a soli 34 metri, quindi in condizioni di luce ottime, su un fondo di sabbia, in piedi, come se stesse navigando. E poi è un relitto con una storia ormai definita: sappiamo cos’è e cosa gli è successo, quindi quando si fa l’immersione c’è anche una storia dietro. Anzi, tante storie.

Ad esempio lei è risciuto a trovare un sopravvissuto all’attacco.

Si chiamava Jurgen Weinberg e abitava a Bremerhaven, in Germania (il signor Weinberg è morto nel 2015, a 93 anni – ndr). Era un ufficiale in seconda imbarcato sul KT12, e all’epoca dell’affondamento aveva 21 anni. Lui si è salvato per miracolo, non rimase nemmeno ferito. Aveva appena smontato il turno, stava mangiando in mensa quando c’è stato l’attacco e si è buttato in acqua con il giubbotto salvagente. Per sua fortuna è passata una lancia che recuperava i superstiti e così è riuscito a evitare il fuoco e a salvarsi senza danni. A causa del carburante andato a fuoco molti di quelli che si sono buttati in mare sono bruciati mentre nuotavano nel tentativo di salvarsi. Un vero inferno.

Un camion trasportato dal KT12 – foto di Egidio Trainito

Il signor Weinberg ricordava l’episodio?

Ricordava l’episodio abbastanza bene, ma non sapeva con precisione cosa gli fosse successo. Non sapeva del sommergibile, non sapeva del relitto, sapeva solo che la sua nave era affondata. Ha scoperto tutto il resto quando gliel’abbiamo raccontato noi. Io sono riuscito a trovarlo perché nel 2003 ho fatto un libro sui relitti nel mondo che è finito nelle mani di un pilota di porto di Bremerhaven. Quando l’ha letto si è ricordato che suo padre, pilota di porto pure lui, era stato collega di una persona che era andata a fondo con quella nave. A quel punto, nel 2010, ci siamo messi in contatto con lui, abbiamo trovato Weinberg, gli abbiamo mostrato le foto del relitto e lui è riuscito a ricostruire la vicenda.

Grazie a lui ad esempio abbiamo scoperto che probabilmente non era il primo viaggio del KT12, come si è sempre detto, ma il secondo. Weinberg era stato portato a Livorno, dove stavano costruendo la nave, ed è stato 3 settimane al Grand Hotel perché non era ancora finita. Secondo i suoi ricordi la nave aveva fatto un primo viaggio Livorno-Cagliari trasportando carburante, facendo scalo all’Isola d’Elba e a La Maddalena. Poi hanno preso un nuovo carico con l’obiettivo di portarlo nel Nordafrica facendo scalo a Cagliari, ma è stato attaccato nel mare di Orosei ed è affondato.

Altro materiale del KT12 – foto di Egidio Trainito

Oggi quali tracce umane restano nel KT12?

Poche. Dei ricordi umani non si trova quasi niente, anche perché il relitto negli anni è stato depredato. Si parla di un avvocato toscano che si è portato via le suppellettili e oggetti vari, tutta roba che probabilmente si sarà messo a casa sua. Oggi restano un camion con le ruote, i cannoncini, e poi delle strutture che probabilmente possiamo considerare dei precursori dei radar. Servivano a calcolare la distanza degli obiettivi, si trovano a dritta dello scafo, sul lato destro.

Come agisce la natura su questi relitti?

Le lamiere col tempo si ossidano. E poi ci sono le mareggiate. Se per la fruizione la posizione e la scarsa profondità del relitto sono un lato positivo, allo stesso tempo queste caratteristiche sono un lato negativo per la conservazione. Infatti sta cominciando a perdere pezzi, ad esempio sono crollate alcune paratie. Il mare lentamente lo smonterà. La natura l’ha colonizzato in tempi rapidi, perché è in un punto esposto, essendo su un fondale di sabbia. Oltre alla flora classica del Mediterraneo ci sono anche pesci come corvine, gronghi e saraghi.

L’altro cannoncino del KT12 – foto di Egidio Trainito

Una curiosità: è vero che il sommergibile Safari si nascondeva nella grotta del bue marino?

No, è una leggenda. Primo per una questione di dimensioni. Non ci stava. Poi perché non aveva nessun bisogno di nascondersi nelle grotte, era un sommergibile. Però è vero che il Safari aveva un rapporto con il territorio. Ci sono molte storie interessanti, ma non sono riuscito ad approfondirle tutte. Il sommergibile Safari ha fatto varie missioni nel Mediterraneo, e una missione l’ha fatta mentre gli americani stavano preparando lo sbarco in Sicilia. Durante questa fase i sommergibili inglesi hanno fatto tutta una serie di azioni di depistaggio avendo delle teste di ponte a terra. Ad esempio c’era sicuramente una radiotrasmittente che comunicava col Safari da un ovile del Supramonte, sopra Dorgali.

Parte del carico del KT12 – foto di Egidio Trainito

Il Safari ha anche effettuato sbarchi di personale in Sardegna, di cui però non ho trovato fonti storiche. Però ci sono molte storie intrecciate con il Safari. Ad esempio uno sbarco di due persone, uno era un italiano passato al nemico, l’altro era un americano, che sono stati sbarcati nel tentativo di arrivare non si sa bene dove, finché li hanno sentiti parlare e sono stati denunciati e li hanno messi in galera. Per cui no, non si nascondeva nelle grotte, però che avesse un rapporto con il territorio sardo è abbastanza certo.

Gruppo elettrogeno trasportato dal KT12 – foto di Egidio Trainito

Cosa rappresenta questa nave da guerra oggi?

Io credo rappresenti un momento di storia che ha toccato la Sardegna solo di striscio. Infatti questo relitto non avrebbe avuto nessun rapporto con la Sardegna – se non, al massimo, con Cagliari – se non fosse affondato nella costa di Orosei. Il bello dei relitti per me sono i pezzi di storia che ci stanno dietro. La storia del superstite tedesco, della “petroliera”, ma anche del presente, cioè di un business che si è generato grazie alle immersioni. È una bella conclusione per quella che in fondo era un’arma da guerra, no? Un oggetto bellico che è diventato un sito di interesse culturale ma anche un oggetto di divertimento per i sub.

(ringraziamo Egidio Trainito)

Cos’era il KT12

KT sta per “Krieg Transporte”, ovvero trasporto da guerra, ed era la sigla per indicare una serie di navi usate dalla Kriegsmarine, la marina tedesca, costruite in vari luoghi. Erano delle navi da trasporto militare. Il progetto prevedeva la costruzione di circa 60 navi, ma non vennero completate tutte. Sul KT12, costruito a Livorno, c’era un equipaggio di 30 persone. Affondato il 10 giugno 1943 dal sottomarino britannico Safari, si trova oggi a poca distanza dalla costa di Orosei, di fronte alla spiaggia di Osalla, a circa 34 metri di profondità. La prua si trova a circa 800 metri di distanza dal resto della nave, mentre intorno ci sono vari detriti. È tra i relitti più visitati del Mediterraneo. Nella zona di Orosei sono presenti anche altri relitti della Seconda guerra mondiale, come l’Ausonia e il Nasello, sempre affondati dal Safari.

Il KT12

Proprio dal diario di bordo del sottomarino britannico possiamo leggere una cronaca dell’attacco.

La mattina del 10 giugno, alle 11.55 leggiamo: “Avvistato un piccolo mercantile”. Poco dopo, alle 12.19: “Lanciati 3 siluri […] uno colpisce la nave”.

Alle 12.26 viene descritta la seguente scena: “La sala motori e la poppa della nave bruciano furiosamente. Il carico sembra essere costituito da automezzi e fusti di petrolio. Rottami della barca a galla. Molte piccole deflagrazioni sulla superficie dell’acqua fino a 4 cables di distanza, nel mezzo si può vedere l’E-boot che recupera sopravvissuti coperti d’olio”.

In realtà non era un E-boot (cioè i battelli veloci, armati, della marina tedesca) ma una lancia di salvataggio. L’equipaggio del Safari se ne accorge (“decidiamo di lasciarla al suo compito umanitario”) e attende, osservando la scena da distanza. Poi alle 13.00 in punto segnano sul diario di bordo: “La nave affonda nel punto 40.21 N e 09.45 E.”, esattamente 41 minuti dopo il lancio dei siluri. L’affondamento è completato.

(i testi del diario di bordo del Safari sono tratti da “Relitti in Sardegna” di Egidio Trainito, Ed. Taphros)

Poppa del KT12 – foto di Egidio Trainito

Cos’era il Safari

L’altro protagonista di questa storia è appunto il Safari, un sottomarino da guerra britannico lanciato nel novembre del 1941. Fu responsabile di diversi attacchi nel Mediterraneo riuscendo ad affondare molte navi italiane e tedesche. Era stato costruito grazie al contributo dei cittadini di Dereham, un piccolo centro della contea del Norfolk, durante una Warship Week, cioè una raccolta fondi locale con la quale tutti erano invitati ad “adottare” una nave da guerra. Curiosamente il Safari oggi condivide la sorte di molte delle navi che affondò durante la sua carriera. Infatti nel 1946 venne affondato nel Canale della Manica, alla profondità di 44 metri, diventando in seguito un sito popolare per le immersioni.

Qui lo vediamo in due foto scattate qualche mese dopo l’affondamento del KT12, nel settembre del 1943. La seconda è una foto di gruppo dell’equipaggio dove possiamo notare la bandiera del Safari, il Jolly Roger, ovvero la tradizionale bandiera dei pirati.

Il Safari torna a casa, settembre 1943 (foto da Imperial War Museum)
Il Safari torna a casa, settembre 1943 (foto da Imperial War Museum)