Il sughero torna alla terra. Apparentemente solo due capannoni abbandonati, ma camminiamo su uno strato di sughero, carta, guano e terra che racconta la lunga storia di un’azienda sarda.

Sicuramente non saltano all’occhio, questi due grigi capannoni dispersi nelle campagne della periferia di Olbia: due rettangoli di cemento a malapena visibili dalla strada, con uno strano serbatoio bianco come unico aspetto distintivo che li differenzia dal classico e francamente brutto deposito abbandonato.

Eppure anche qui c’è qualcosa, e quel qualcosa è una piccola storia. Dimenticati da tutto e da tutti, tranne che da qualche girovago locale armato di animale da passeggio, scopriamo che questi anonimi e cadenti caseggiati circondati da sterpaglie erano in realtà un sugherificio.

Per ripercorrere la sua esistenza dobbiamo tornare indietro alla fine degli anni ’60, quando l’artigiano olbiese Mario Cossu acquistò insieme ai figli un appezzamento di terreno in regione Pasana. Nacque così uno stabilimento che si sviluppò progressivamente con gli anni, macinando e plasmando tonnellate di sughero gallurese. Sopravvissuta alle crisi del settore e soprattutto a un vasto incendio che nel 1981 produsse gravissimi danni all’impianto, l’attività andò avanti fino al 2004, anno in cui i proprietari decisero di trasferirsi nella più moderna zona industriale portuale, a Cala Saccaia.

Mentre il nuovo stabilimento cresce, le sue radici secche e contorte e abbandonate si uniformano al desolato paesaggio della campagna di Pasana. Superando una piccola pineta si entra nello stabilimento, immerso nel silenzio rotto solo dall’ormai consueto cigolio di rottami e voli di piccioni.

Nel primo caseggiato, adibito a deposito e mulino, sughero grezzo e lavorato mischiato a scarti di ogni tipo formano una distesa indistinguibile e indecifrabile che ricopre e nasconde il pavimento. Nel secondo, sede della direzione e dei macchinari principali, un altro mare, stavolta di vecchie carte commerciali, testimonia una fiorente attività paradossalmente causa dell’abbandono.

Nati sotto l’ideale egida protettiva delle imponenti e nobili querce da sughero, i due edifici sono oggi beffardamente assediati e mangiati vivi da rovi e da ogni altra forma possibile di vegetazione spontanea.

Dove si trova: nella periferia ovest di Olbia, in località Pasana, lungo via Vittorio Veneto. Google Maps.

Foto

Qua c’erano delle foto. Dove sono finite? Le abbiamo tolte su richiesta dei proprietari del sito abbandonato. Abbiamo pensato di descriverle ma di fatto l’abbiamo già fatto nel testo che trovate qua sopra: un grande terreno, due capannoni abbandonati che raccontano una piccola storia di un’azienda sarda che per quanto piccola a noi sembrava comunque interessante e significativa. Anzi, forse proprio perché piccola. Immaginatevi sterpaglie, vecchi macchinari abbandonati, guano, luce che filtra attraverso finestre rotte, carta e qualche tappo di sughero. Un posto come un altro (ma ogni posto per noi ha la sua storia) dove può capitare di incontrare persone che portano a spasso il proprio cane. Noi, privi di animali domestici, siamo entrati senza rompere lucchetti o catene e assolutamente non animati dal desiderio di stabilire lì la nostra residenza o domicilio (come dice il codice penale in questi casi), dunque del tutto legalmente – per quanto per noi quello della “legge” sia un concetto abbastanza fluido – solo con l’obiettivo di documentare. Eppure, diciamo la verità, un po’ perché abbiamo di meglio da fare, un po’ perché il nostro senso di responsabilità ci impedisce di contribuire all’intasamento della giustizia italiana con l’ennesimo procedimento legale completamente inutile, le abbiamo tolte.